di Alessandro Romanello
Scritta poco prima dell’inizio della pandemia, questa lirica non voleva essere altro che una descrizione spoglia di parte della mia vita quotidiana da white collar lontano da casa per lavoro. Naturalmente non mi sfuggivano le implicazioni, le possibili armoniche generate da tale descrizione. Oggi essa appare quasi una prefigurazione dolorosa degli arresti domiciliari cui siamo costretti su scala mondiale. D’altro canto, isolamento, atomismo sociale, solitudine sono risvolti fin troppo noti della cosiddetta globalizzazione, un fenomeno che il Covid-19 non fa che rendere ancora più tragico e trasparente.
L’angoscia aggancia i cardini
del meccanismo a ritroso.
Non rimane che la solitudine,
le pareti bianche,
l’avvolgibile del balcone
sempre serrato
mentre sorbisci
una zuppa vegetale
riscaldata al microonde e
i corpi martoriati e mutilati
che ti guardano dallo schermo
senza proiettare nessuna ombra
sono come le lamelle orfiche
di un’altra religione.
Tra un episodio e l’altro
ti alzi nervosamente per regolare
la temperatura dei radiatori
che non obbediscono
ai capricci di un recluso.
Nato a Piacenza nel 1967, Alessandro Romanello è italianista di formazione, da molti anni è bibliotecario all’Accademia Nazionale dei Lincei. Ha pubblicato per lo più saggi e curatele, tra i quali un’edizione della storica antologia Poeti d’oggi di Papini e Pancrazi, Crocetti, Milano 1996, ed è autore della raccolta poetica Notifiche di inesistenza, GattoMerlino, Roma, 2019.
le separazioni, la reclusione , la sospensione, le autocertificazioni per la sussistenza, le cortesie del poco confronto con chi espleta i servizi essenziali, il silenzio notturno e diurno rotto dalla libertà dei volatili, le albe degli aggiornamenti, le 18 dei bollettini, i pasti, finché la marea non ci colpisce sopportiamo questo pandemonio. Ce ne ricorderemo di questo pianeta…