FRANCOFONIA: IL “VALORE” DELL’ARTE SECONDO SOKUROV

di Giulia Tonci Russo

“Chi vorrebbe una Francia senza Louvre? O una Russia senza Hermitage? Chi saremmo noi senza musei?[…] Chi sarei stato se non avessi potuto vedere gli occhi di coloro che vissero prima di me?” Questi interrogativi aprono il film-documentario di Alexander Sokurov Francofonia (2015), un riepilogo della storia del Louvre con attenzione particolare al periodo dell’occupazione nazista della Francia e di Parigi, raccontato attraverso il rapporto tra il direttore del museo Jacques Jaujard e l’ufficiale tedesco e conte Franziskus Wolff-Metternich. La narrazione tuttavia non si limita ai casi e ai soggetti specifici ma allude, non troppo velatamente, ad una ricerca di potenza esistenzialista: qual è il rapporto dell’uomo con l’arte? Perché esiste l’arte? Perché esistono i musei?

Secondo Salvatore Settis (in una presentazione al cinema Arsenale di Pisa) il film di Sokurov potrebbe essere inserito in una trilogia ideale, “preterintenzionale”, che si incentra sul ruolo dell’arte nelle comunità umane. Il primo di questa trilogia, il documentario sull’arte paleolitica Cave of forgotten dreams (2011) di Werner Herzog, è frutto dell’idea che “raccogliere immagini dentro un solo luogo è, per così dire, necessario”, ponendo quindi le basi dell’esistenza stessa del museo. Il secondo passaggio è costituito dal film di Frederick Wiseman National Gallery (2014) che racconta la storia della nascita del Museo come istituzione. In questa trilogia immaginaria Sokurov si propone quindi come tesi ultima, la conclusione di un discorso più ampio. Egli tuttavia non presenta una soluzione ma un quesito, creando un discorso che ricapitola ciò che è venuto prima e progetta ciò che verrà poi: qual è il destino dell’arte nel futuro? Ed è in questa conversazione che il cinema diventa mezzo necessario e fondamentale per ripercorrere il passato: nulla può mostrare e illustrare più delle immagini stesse, rendendo palpabile un futuro già presente, un futuro di cui al momento siamo testimoni.

In fondo di cosa narra un museo “se non di uomini che soffrono, amano, uccidono, mentono e piangono”? Di cosa parla un museo se non dell’uomo stesso? La memoria dell’arte, sembra suggerire Sokurov, non è altro che la memoria stessa e il Louvre, in questo, diventa una sorta di Arca di Noè. Il museo più visitato al mondo è, in questo senso, anomalo: non nasce infatti dal proprio territorio circostante ma con l’ambizione di essere il “Museo Universale” formatosi dalle razzie rivoluzionarie del 1794 e napoleoniche. É durante la Rivoluzione Francese che cambia l’ideologia dell’arte: citando Winckelmann, essa diventa “patria della libertà” in quanto “libertà, democrazia e arte sono un tutt’uno”. I rivoluzionari portavano la libertà, erano essi stessi la democrazia e, quindi, autorizzati a portare tutta l’arte del mondo nell’unico posto dove vigevano questi principi: la Francia, Parigi. Il fantasma della Rivoluzione si aggira ancora nel Louvre di Sokurov, come quello degli zar abita ancora le sale dell’Hermitage dell’Arca russa(2002): Marianne, la personificazione della Libertà, vaga per il Palazzo ripetendo il suo mantra “Liberté, fraternité, egalité” ancora e ancora, instancabile, imperitura. Accanto a lei un altro fantasma, Napoleone che, in preda a deliri di onnipotenza, grida “Le Louvre c’est moi! Je suis le Louvre!”, affermazioni, alla fine dei conti, non del tutto false.

In un’opera come questa il montaggio è essenziale, guidato dalla voce dell’autore, dal suo modo di ragionare e di tenere insieme le fila di un discorso teorico universale, che mescola spazio e tempo in un continuum unico nel suo genere paragonabile al suo protagonista, il Louvre. Al suo interno si mescolano personaggi, storie, passato e presente: un popolo riconoscibile, che appartiene al proprio tempo ma che ne è contemporaneamente astratto, reso immutabile ed immortale dall’arte stessa. “Sennò perché avrei fatto la guerra? Per questo! Per l’arte! Per l’arte ho fatto la guerra!” continua a gridare Napoleone nelle enormi stanze vuote del museo. Ed è per l’arte che Sokurov ha raccontato la storia del Louvre, per ricordarci che c’è qualcosa di più profondo della politica e della storia, qualcosa che sfugge a qualsiasi regola ma che viene intrappolato solo dall’arte, che ricorda al suo creatore la propria transitorietà e fragilità e, al contempo, la propria forza, dignità, magnificenza e bellezza. La Gioconda, il cuore del Louvre, guarda ironicamente noi, in un continuo e ripetuto affanno, e i fantasmi della nostra storia, Marianne e Napoleone che, incantati, rimangono finalmente muti davanti al fine ultimo delle proprie vite.

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