CHIARA FERRAGNI, I MUSEI E LA MODA AL TEMPO DEI SOCIAL

di Ilaria Miarelli Mariani

In tempi di fruizione museale telematica amplificata, ha fatto scalpore l’apparizione nelle sale degli Uffizi dell’influencer Chiara Ferragni, che notoriamente trasforma in oro tutto quello che tocca ormai da anni.

L’iconica bionda aveva già fatto parlare di sé per gli scatti che la ritraevano col marito Fedez all’interno della Cappella Sistina, in un luogo dove è severamente proibito il selfie. La polemica social è scattata immediatamente da parte di tutti quei visitatori pronti a rivendicare il diritto di scattarsi anche loro una foto con il Giudizio Universale di Michelangelo sullo sfondo. Risultato: le foto pubblicate dalla coppia sui loro profili Instagram hanno fatto immediatamente diventare trending topic su Twitter l’hashtag #CappellaSistina. Si è scoperto poi che, prenotando banalmente una visita privata, le foto sono concesse a chiunque. Tra l’altro, Fedez aveva candidamente commentato, prima della polemica: “personalmente da giovane sono sempre stato portato ad immaginare i musei come luoghi polverosi e portatori di noia. Da due anni con mia moglie veniamo a Roma solo per scoprire le opere d’arte della città (…). Ma indipendentemente dall’aspetto educativo è una vera e propria figata!” (salvo poi dichiarare di aver lavorato più tardi alla Fondazione Pomodoro, quindi non proprio un estraneo al mondo dell’arte). Da lì il passo alle foto negli Uffizi, il museo più “social” d’Italia e non solo è stato breve.

Le polemiche sull’utilizzo spregiudicato dei nuovi mezzi di comunicazione da parte del direttore, Eicke Schmidt impazzano da tempo. Particolarmente preso di mira è l’approdo del museo fiorentino sulla piattaforma TikTok che, grazie al traino della diretta con la seguitissima TikTok creator Martina Socrate (22 anni, studente di mediazione linguistica e culturale a Milano) durante la Museumweek ha portato il museo a superare i 20000 followers, fino a arrivare agli attuali quasi 38000, superando di gran lunga il Metropolitan Museum che è rimasto fermo a 9402 follower.

Che l’esposizione social dei musei arrivi a un pubblico diverso e più giovane, che a sua volta decide di visitarli è ormai fatto appurato. E non esiste museo, oggi, che non abbia almeno un account facebook o instagram. Per fare un esempio, il più seguito su Instagram è il Louvre, con 4 milioni e 100000 followers, mentre il Metropolitan conta 3 milioni e 700000 followers. Molto minori i numeri dei musei approdati da poco sul social, come la Galleria Borghese che ne conta “solo” 108000.

Ed eccoci al punto: meno di una settimana fa, sul profilo Istagram ufficiale uffizigalleries (524000 followers) è comparsa una foto postata poco prima dalla stessa Ferragni (20 milioni e mezzo di followers) che la ritrae davanti alla Nascita di Venere di Botticelli. Nel post cui le due donne, quella dipinta e quella “reale” sono messe a paragone come due diversi tipi di canoni estetici. Un testo piuttosto semplice, senza troppe concessioni al linguaggio “giovane” in cui, però, la Ferragni è additata quale “sorta di divinità contemporanea nell’era dei social”. Non mancano inoltre le allusioni ai detrattori della influencer e al suo essere a tutti gli effetti un “fenomeno sociologico”. Le consuete polemiche sono scoppiate immediatamente, soprattutto per l’outfit non proprio da museo (shorts, top e sandali). Ma non solo, le accuse hanno investito soprattutto la direzione del museo e il suo spregiudicato utilizzo dei social (inutile dire che un video è apparso anche su TikTok, “Botticelli meets Chiara” in cui Ferragni, che appare insieme a Schmidt ma in vesti molto più eleganti, invita tutti a visitare gli Uffizi, definendoli “uno dei musei più belli al mondo”). La polemica è circolata soprattutto su Twitter, il social più “impegnato” e culturalmente più elevato. Tomaso Montanari dopo vari post, ha pubblicato un articolo su “Il Fatto quotidiano” del 18 luglio 2020 in cui spiega le sue ragioni: “è giusto, sensato, saggio, che la Galleria degli Uffizi metta tutta la sua arte e la sua storia al servizio della Ferragni ?”. La domanda che si pone è quanto la Ferragni abbia pagato agli Uffizi (Museo dello Stato mantenuto con i soldi dei contribuenti) per un servizio fotografico per “Vogue Hong Kong”. E questo è giusto, rendere pubblici gli incassi di un museo pubblico per eventi diversi dalla ordinaria attività. Prosegue poi dichiarando che “Botticelli non ha bisogno della Ferragni per essere conosciuto nel mondo”. E qui risponderei: magari!

Ha affrontato la questione in maniera piuttosto banale Selvaggia Lucarelli su “TPI” sempre del 18 luglio 2020 in cui asserisce che il “target più alto” non ha bisogno della Ferragni perché agli Uffizi c’è già stato e che “il pubblico medio di Chiara Ferragni a cui non fregava nulla degli Uffizi non si interesserà agli Uffizi e continuerà a aspettare che tagghi la marca del suo gloss”. Ossia che non sarebbe aumentato il pubblico. Sbagliava, ma questa è tutta un’altra, discussa, questione che comprende anche l’aumento del turismo italiano all’interno di tutti i grandi musei dopo il lockdown.

Ma alla domanda di Montanari può rispondere un’intervista a Valeria Parrella su fanpage.it del 20 luglio 2020 di Massimiliano Miglio. Ebbene, la nota scrittrice partenopea, finalista allo Strega 2020, ha asserito di aver conosciuto un dipinto non proprio “sconosciuto” come il Tondo Doni di Michelangelo proprio attraverso una foto postata sul profilo Instagram della Ferragni: “con questo cosa voglio dire? Ipotizziamo che in Italia ci sia qualcuno che fino all’altro giorno non conosceva la Venere di Botticelli, magari adesso la conosce. Se questo è l’obiettivo, penso che qualsiasi strada vada bene: i puristi cercano le strade pure, ma siccome viviamo in un mondo impuro, la ricerca della purezza non ha senso”. Una polemica con Montanari? Niente affatto. Una visione diversa forse con un tentativo di guardala più “dal basso”. Tanto che la scrittrice ha pubblicato sul suo profilo Twitter anche l’articolo di Montanari. Alla domanda se ci vedesse del sessimo in questa vicenda, Parrella risponde in maniera condivisibile “Avverto un disprezzo generale ma non saprei dire se è sessita o elitario”. Del resto, al suo primo post su twitter in difesa della Ferragni le è stato consigliato di leggere o rileggere Agamben.

Veniamo alla questione del sessimo: ma veramente pensiamo che in Italia ne siamo del tutto esenti?

Leggendo i commenti alla famosa foto con la Venere, mentre su Instagram di Ferragni si leggono solo apprezzamenti per la bellezza del luogo e del dipinto (oltre che del soggetto in posa), su quello  uffizigalleries sono almeno duemila quelli negativi, alcuni addirittura di insulti anche pesanti sulla presunta ignoranza della influencer, ma non mancano quelli sull’aspetto fisico, cui sembriamo ormai esserci assuefatti.  E qui si esce dalla questione “museo”. Il tema è stato tirato fuori dal giornalista Lorenzo Tosa, in un post per l’appunto pubblicato su Instagram. Parla del lato positivo della promozione della cultura “alta” presso persone che non entrerebbero mai in un museo ma che magari faranno un’eccezione. Ma, soprattutto, dice quello che non era stato detto: con il suo gesto Ferragni, forse involontariamente (ma non credo) ha messo “straordinariamente a nudo, ancora un volta, tutta l’ipocrisia pseudo-intellettual-machista che proprio non riesce a tollerare l’immagine di una donna che si è costruita da sola un successo planetario, senza scorciatoie né chiedere nulla a nessuno mai (specialmente uomini) e che si permette addirittura l’invasione empia dei luoghi della cultura fallocentrica ed autoriferita, portandola su in diverso piano e portandola fuori dal loro controllo. E allora la prima cosa che fanno, gli intellettuali stizziti, non è contestare l’operazione, la scelta, il marketing in sé per sé ma Chiara Ferragni in quanto Chiara Ferragni, in quanto brand, in quanto donna”.

Intanto, sempre Ferragni, si è traferita in Puglia per la sfilata Cruise Dior 2021, dove posta foto del pavimento della Cattedrale di Otranto e degli affreschi di Galatina e dove si è fatta fotografare in un altro museo, molto più piccolo e semisconosciuto ai più, il MarTa (Museo Archeologico Nazionale di Taranto), insieme alla direttrice Eva Degl’Innocenti. Anche qui, l’incremento degli ingressi ha sfiorato quasi il 30 %, ma non è mia intenzione entrare qui nella spinosa questione “visitatori e incassi del museo”.

Nella foto al MarTa, insieme a Ferragni e Eva Degl’Innocenti, un’altra donna, Maria Grazia Chiuri, stilista della Haute Coutoure di Dior, che nel 2017, alla presentazione della sua prima collezione a Parigi ha fatto sfilare una modella con la ormai famosissima maglietta con il titolo del saggio di Chimamanda Ngozi Adichie “We should All Be Feminists” (indossata e postata su Insragram nel 2017 anche da Chiara Ferragni, oltre che da attrici e artiste come Natalie Portman, Madonna, Emma Watson e molte altre). Nel 2018 è stata la volta del titolo del saggio della storica dell’arte Linda Nochlin “Why have there been non great woman artists?”, manifesto della gender art history e nel 2020 ha collaborato con l’artista femminista per eccellenza, Judy Chicago, autrice dell’opera-simbolo The Dinner Party (Brooklin Museum) e con la Chanakya school of craft. Un percorso dunque molto studiato e mirato, con riferimenti alti al lavoro “manuale” (non in senso diminutivo) delle donne.

Il motivo del viaggio in Puglia, come già detto, è un altro evento legato alla moda: la sfilata Dior sulla Piazza del Duomo di Lecce, evento che, come di consueto, è stato immediatamente criticato sul sito “emergenza cultura” in un articolo di Fabio Grasso che critica l’apparato di luminarie con cui il Duomo è stato rivestito, secondo un’usanza peraltro ancora molto comune nelle feste padronali salentine. Un’accusa soprattutto alla voglia di “visibilità” della città e malgrado il fatto che le luminarie, come di consueto, saranno immediatamente smontate e non recheranno alcun danno strutturale al monumento. Anche Italia Nostra Sud Salento si è affrettata a pubblicare un comunicato di denuncia, stigmatizzando il fatto che le autorizzazioni non sarebbero state richieste nei tempi consueti ma, soprattutto, la sottrazione delle visibilità del monumento nella sua integrità per quasi quindici giorni.  Eppure sul profilo Instagram di Maria Grazia Chiuri, salentina di Tricase da parte di padre, si legge un’altra storia, fatta di conoscenza e rispetto della tradizione e del lavoro manuale, in particolare femminile.

L’evento, andato in scena la sera del 22 luglio è stato a mio avviso impeccabile. Piazza deserta senza pubblico, poche modelle (45) in spazi enormi, il meglio della creatività salentina, il corpo di ballo che si è esibito durante la sfilata danzando la pizzica, l’Orchestra della Notte della Taranta, Giuliano Sangiorgi dei Negramaro, le riprese del regista Edoardo Winspeare. Le tanto contestate luminarie sono state ideate dall’artista “collettiva” campana Marinella Senatore che, su un’impalcatura tradizionale eseguita da una nota ditta di Taurisano ha inserito frasi di empowerment e emancipazione femminile. Infine gli abiti, raffinatissimi, ispirati ancora una volta alle tradizioni locali e in parte realizzati dalle signore della Fondazione Le Costantine, un laboratorio di tessitura impegnato nel lavoro di conservazione e protezione dell’arte del pizzo al tombolo mentre i gioielli richiamano l’antica arte locale (da lì l’omaggio e la visita al MarTa).

Dov’è dunque la “profanazione” della piazza in tanta bellezza sapientemente orchestrata?

Un altro pregiudizio, dunque, oltre a quello verso i social e il mondo femminile, ossia verso la moda, considerata in fondo ancora “frivola” e del tutto estranea a qualsiasi forma, se non artistica, perlomeno creativa e che si ripropone spesso in occasione dell’utilizzo di monumenti e musei per sfilate anche di grandi maison.

Ecco che, a guardare bene, la foto di Ferragni agli Uffizi, ci mette davanti una serie di barriere e pregiudizi culturali e elitari che sembrano duri a morire, mascherati talvolta da una cultura “alta” che non fa i conti con la volontà di cambiamento. Siamo allora proprio sicuri che Chiara Ferragni sia così dannosa?

9 pensieri riguardo “CHIARA FERRAGNI, I MUSEI E LA MODA AL TEMPO DEI SOCIAL

  1. Un’analisi accurata e integralmente condivisibile. Quedto genere di reazioni sembra una levata di scudi del tristo patriarcato.

  2. Molto d’accordo. Credo che uno dei nodi, nella reazione stizzita di molti, sia anche un po’ di paura rispetto alla necessità di dare nuove risposte a un pubblico diverso da quello tradizionale. Sfida difficile e irta di pericoli, ma ineludibile.

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