25 APRILE 2020 – “L’ITALIA È UN PAESE STRANO”, SE NON ORA, QUANDO?

di Eirene Campagna

Chaim, uno degli ultimi personaggi che incontriamo in Se non ora, quando? aveva combattuto per la liberazione d’Italia. Quando a Milano incontra la Brigata Ebraica partigiana di Gedale, in viaggio da molto tempo, Chaim afferma: «L’Italia è un paese strano. Ci vuole molto tempo per capire gli italiani, e neanche noi, che abbiamo risalito tutta l’Italia da Brindisi alle Alpi, non siamo ancora riusciti a capirli bene; ma una cosa è certa, in Italia gli stranieri non sono nemici. Si direbbe che gli italiani siano più nemici di sé stessi che degli stranieri: è curioso ma è così» (Primo Levi, Se non ora, quando?, Torino 1982, p. 304).

In Italia, la caduta del fascismo e le successive divisioni fra gli orientamenti politici, hanno portato qualcuno a credere che l’8 settembre 1943 sia stata la morte dell’identità nazionale, altri hanno ritenuto che si trattasse di un nuovo inizio. In ogni caso, si sottovaluta la fragilità del terreno sui cui i partigiani muovono i primi passi: la Resistenza italiana resta un’azione realizzata da una minoranza. Chaim prosegue, nel corso delle pagine, a parlare degli italiani in questo modo: «Forse questo viene dal fatto che agli italiani non piacciono le leggi, e siccome le leggi di Mussolini, e anche la sua politica e la sua propaganda, condannavano gli stranieri, proprio per questo, gli italiani li hanno aiutati. […] Ma a questo punto vi devo dire la cosa più strana di tutte: gli italiani si sono mostrati amichevoli con tutti gli stranieri». (Ibidem)

Ex-Campo di concentramento di Fossoli, resti delle baracche, © Eirene Campagna, 2020, Fossoli

Parte della storia italiana legata alla Resistenza la si ritrova raccontata, direttamente e indirettamente, nell’ex Campo di Fossoli e nel Museo Monumento al Deportato politico e razziale di Carpi, così come in questi luoghi è possibile rintracciare quell’atteggiamento “amichevole degli italiani verso gli stranieri”. Nel dicembre del 1955, a conclusione delle celebrazioni per il decennale della liberazione, si tenne a Carpi la Celebrazione della Resistenza nei campi di concentramento nazisti, una celebrazione che segna una svolta in Italia sul concetto di deportazione e soprattutto mette in una nuova luce il campo di Fossoli. Ancora, in quell’occasione venne allestita per la prima volta la Mostra nazionale dei lager nazisti che finalmente farà alzare il velo sul fenomeno della deportazione in Italia e ad individuare in Fossoli uno dei principali luoghi di memoria italiani: non solo un campo di concentramento, ma luogo di memoria nazionale.

Museo al Deportato di Carpi, particolare, © Eirene Campagna, 2020, Carpi

Il campo presenta una storia unica e composita, costruito durante la Seconda Guerra Mondiale, nel corso del tempo è utilizzato con diversi scopi. Inizialmente è adibito a campo di prigionia, dopo l’8 settembre 1943 l’esercito tedesco occupa il campo, alla fine di settembre il trasferimento forzato dei prigionieri si concluse e le baracche vengono lasciate in uno stato di abbandono. Nel dicembre dello stesso anno la Repubblica sociale italiana apre a Fossoli il Campo di concentramento speciale per ebrei: il campo assolverà a questa funzione per nove mesi, fino all’agosto 1944, nel corso dei quali diviene un punto cruciale dell’azione repressiva contro qualsiasi forma di opposizione e resistenza, soprattutto, diventa il luogo di partenza di miglia di persone per i campi di sterminio della Germania nazista. Nel 1944 le SS assumono il controllo del campo, questo contemporaneamente è diventato luogo di prigionia anche per gli internati politici. I convogli ferroviari che partono da Fossoli sono diretti ad Auschwitz, Mauthausen, Bergen Belsen, Ravensbrück, Buchenwald e Flossenbürg.

Al momento della liberazione il campo è in stato di abbandono da mesi, le baracche sono state danneggiate sia dalle operazioni belliche che dall’incuria. Una parte del campo, denominata Campo Vecchio, perché la prima ad essere costruita, sarà messa a disposizione dal sindaco Bruno Losi fin dal 1946 per cercare di far fronte ad un nuovo problema: la disoccupazione e la mancanza di sostentamento che la popolazione si trova ad affrontare in quegli anni. Il Campo Vecchio sarà così definitivamente smantellato, mentre nel 1946 il Campo Nuovo è ripristinato come prigione per rinchiudere fascisti, criminali, persone ritenute pericolose, poi diventerà un Centro di raccolta per gli stranieri indesiderabili, ultimo capitolo della vicenda bellica di Fossoli. Nel 1947 il sacerdote Zeno Saltini dà vita ad un centro di accoglienza per orfani a cui dà il nome di Nomadelfia, che resterà a Fossoli fino al 1952, quando la comunità è costretta a lasciare Fossoli e a trasferirsi sulle colline del grossetano. Due anni dopo a Fossoli, ora chiamato Villaggio San Marco, venne data ospitalità a 150 famiglie istriane in esilio, che successivamente si trasferirono a Carpi. Solo nel 1984 il Comune di Carpi, dopo un decennio di trattative avviate dopo l’apertura del Museo Monumento, riuscì ad ottenere dallo Stato la proprietà dell’area. Fossoli si prepara a diventare, da questo momento in poi, un luogo di Memoria Nazionale, rivestendo una funzione sia pratica che simbolica.

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Una nota personale: Il campo di Fossoli e il Museo al Deportato di Carpi sono stati oggetto della mia ultima trasferta di ricerca, il 21 febbraio 2020: intorno alle 7 del mattino, mi incamminavo nella nebbia milanese per raggiungere Carpi. Lì, una persona si era offerta per farmi da guida e per accompagnarmi nel vicino campo di Fossoli, viene a prendermi alla stazione di Carpi, da cui inizia la mia visita. Il museo di Carpi mi stupisce particolarmente per l’attualità dell’esposizione, realizzata negli anni Settanta dal gruppo BBPR, mantiene intatto il suo messaggio: mantiene vivi quei condannati a morte, che, prigionieri, sono morti per la libertà.

Museo al Deportato di Carpi, particolare, © Eirene Campagna, 2020, Carpi

Il mio viaggio di ritorno mi metteva, per la prima volta, faccia a faccia con il virus, il Covid-19: a causa di un tragico incidente sulla linea ferroviaria Milano-Bologna, il treno oltre ad impiegare tantissime ore per riportami a Milano, si ferma a Codogno per un cambio. Ecco, quella sarebbe stata la prima volta che percepivo la presenza di quella che, nel corso delle settimane, si sarebbe rivelata una pandemia, che oggi ci tiene fermi nelle nostre case, ma che non impedisce ad ognuno di noi di tentare di aiutare, con piccoli o grandi gesti solidali, gli altri. La pandemia, oltre ad essere una grande problematica legata alla salute fisica delle persone, ha cominciato, un po’ alla volta, a cambiare il modo di vivere, il modo di relazionarsi gli uni agli altri, sicuramente solo temporaneamente.

Qualche giorno dopo lasciavo Milano, pensando che la settimana successiva sarei potuta tornare, quindi non ho selezionato i libri da prendere e quelli da lasciare, non ho pensato alla quantità di libri presi in prestito nelle biblioteche i giorni precedenti; sono tornata a Salerno sicura che in pochi giorni tutto sarebbe tornato alla normalità.

I primi giorni di marzo la primavera graziava tutti, e per un campano il richiamo del mare è un richiamo quasi naturale, quindi in un’ultima serena passeggiata a Salerno, faccio la mia tappa fissa in libreria e acquisto Se non ora, quando? di Primo Levi.

Nell’aprile del 1982 viene pubblicato Se non ora, quando? nell’aprile 2020 la mia lettura termina. Primo Levi aveva pubblicato il libro ottenendo immediato successo, e per la prima volta il chimico torinese si prefissava di non scrivere una storia vera, bensì di ricostruire l’itinerario «plausibile ma immaginario» di una banda partigiana ebraica, che ha combattuto contro i tedeschi, quasi sempre in condizioni disperate. I personaggi, quindi, sono tutti immaginari, ma la fonte è reale: un amico di Milano che, nell’estate del 1945, aveva prestato la sua opera nell’ufficio di assistenza, dove la banda giunge nell’ultimo capitolo.

Il racconto di Levi si ferma a Milano, e la sua lettura mi ha aiutato soprattutto a comprendere che la mia non è una vera e propria resistenza, che in questo momento storico non si sta combattendo una guerra, ma si sta affrontando una situazione sicuramente inedita e drammatica, che mette alla prova la nostra capacità di adattarci ad uno scenario di vita diverso.

In queste settimane sono state sempre di più le iniziative virtuali-culturali, che hanno tentato, riuscendoci, di rendere meno dura la permanenza forzata in casa.

Per il 25 aprile le iniziative sono già in corso, tra le tante, ascolto mentre scrivo l’evento web “I luoghi della memoria: un patrimonio della Democrazia”. Incontro in videoconferenza in occasione del 75° Anniversario della Liberazione, oggi più che mai, è importante ricordare, sapere da quale storia veniamo, senza banalizzarla né inficiarla, ma cercando di incidere sul  sapere storico per produrre conoscenza reale e coscienza civica. Concludo riflettendo su come il flusso continuo della memoria non si fermi mai: ovunque sui social i diversi musei e memoriali dedicati alla Shoah o alla memoria italiana della Deportazione e Resistenza, fanno sentire la loro presenza, ci sono, restano chiusi ma ricordano, alcuni predispongono dei tour virtuali, altre associazioni e organizzazioni sono pronte per la giornata di commemorazione per il 25 aprile, per celebrare, anche quest’anno, a denti stretti, la Liberazione italiana.

3 pensieri riguardo “25 APRILE 2020 – “L’ITALIA È UN PAESE STRANO”, SE NON ORA, QUANDO?

  1. Brava Eirene, indagare e percepire i vissuti storici è veramente umano. Primo Levi poi con i suoi libri ci ha lasciato l’intensità di quel vissuto così inumano anche sulla propria pelle. La storia non è mai corretta con le sue sentenze ma chi scrive vivendola non lascia spazio al soverchio che si è poi raccontato. Se Levi si tolse la vita non fu solo per depressione…. Il mio pensiero di quel suo annullamento totale penso sia stato per la superficialita dell’essere umano che è venuto dopo. La potenza di tutta questa sofferenza di guerra ha dato meriti agli ultimi arrivati e che ne hanno preso la gloria. Lui non era questo, lui ha visto e vissuto tutto nelle sue visceri… Penso tutti abbiano trascurato ciò nel seguito della sua vita e osservando questo non ha saputo più vivere. La saluto

  2. Ancora una volta Eirene Campagna centra il punto, la verità è la semplicità nel raccontare la storia e suoi orrori. L’ Italia è un Paese strano e lo sarà sempre, la storia d’Italia è l’ anziano che si racconta, ma gli uomini che dall’esperienza non hanno imparato nulla, smetteranno mai di comportarsi in modo distruttivo?
    Alla fine anche il nostro oggi sarà la storia di un domani.
    Saluti e complimenti

  3. Leggo con attenzione e inizio un viaggio mentale nuovo.Cio’ che leggo e’ di grandissimo interesse per capire chi sono gli italiani e come incidono i contributi di quelli che decidono di dare un contributo.Grazie, il percorso continua

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