michelangelo’s sculpture. selected essays

di Tommaso Casini

Leo Steinberg, Michelangelo’s Sculpture. Selected essays, The University of Chicago Press, 2018

Leo Steinberg (1920-2011) storico dell’arte cosmopolita, nato a Mosca, vissuto tra Berlino, Londra e New York, conosceva bene l’Italia e in particolar modo la cultura artistica a Roma tra Rinascimento e Barocco. Della sua vasta produzione è stato tradotto in lingua italiana il libro – fondamentale – La sessualità di Cristo nell’arte rinascimentale e il suo oblio nell’epoca moderna (New York 1983 – Milano, Saggiatore, 1986) poi riuscito in forma ampliata nel 1996 da University Chicago Press, ma non più riedito in italiano[1]. A compensazione di questa immeritata disattenzione, nel maggio del 2017, si è tenuto a Roma un congresso internazionale dal titolo “Leo Steinberg Now. Il pensiero attraverso gli occhi” in cui è stata messa a fuoco l’attualità della figura di uno studioso eclettico, e per certi versi eretico, che ha lasciato una traccia significativa nella storia della critica d’arte per l’acume del suo pensiero. I numerosi e vasti studi di Steinberg, dall’arte moderna a quella contemporanea, hanno mostrato sotto una nuova luce artisti come Leonardo, Michelangelo, Borromini, Picasso, De Kooning, Rauschenberg e Johns, sollevando questioni cruciali riguardo al loro linguaggio e, più ampiamente, riguardo ai temi delle arti visive.

I libri e i saggi di Steinberg risultano sempre spiazzanti per le novità metodologiche e per l’apertura verso nuovi campi d’indagine. Si pensi a Other Criteria: Confrontations with Twentyth-Century Art (Oxford Univeristy Press, New York, 1972), o alla lettura del Cenacolo vinciano attraverso la fortuna visiva a stampa e pittorica in Leonardo’s Incessant Last Supper (New York, 2001). Il ruolo che l’opera critica di Steinberg ha svolto nel dibattito culturale europeo e statunitense del secolo XX, e le questioni teoriche e metodologiche che ha illuminato nel campo degli studi storico-artistici, finora erano stati poco indagati, e sono oggetto della lettura critica a più voci che si annuncia trasversale e interdisciplinare, negli atti del menzionato convegno romano, al momento dell’uscita di questa recensione disponibili in libreria[2].

Ad alimentare in maniera significativa il rinnovato interesse per Steinberg è stato pubblicato nell’autunno del 2018 l’atteso Michelangelo’s Sculpture. Selected essays da The University of Chicago Press, il primo di cinque volumi previsti dei suoi scritti prodotti durante la sessantennale carriera di accademico e prolifico conferenziere la cui variegata attività è rimasta in gran parte in forma dattiloscritta. Per Steinberg era consuetudine rivedere e aggiornare gli argomenti delle sue ricerche nel corso degli anni come accaduto per i celebri saggi su Las Meninas di Velázquez e Les Demoiselles d’Avignon di Picasso. Il volume pertanto offre uno spettro completo dei testi già editi, e qui ripubblicati (spesso con integrazioni) e altri invece totalmente inediti.

Poco prima della morte lo studioso aveva incaricato Sheila Schwartz, sua collaboratrice per cinquant’anni, di organizzare la pubblicazione postuma di saggi già editi e conferenze tenute durante il corso della sua carriera. Il primo volume, dedicato alla scultura di Michelangelo oggetto di queste righe, sarà seguito nell’autunno del 2019 da quello sulla pittura del maestro toscano, con un’introduzione di Alexander Nagel. Composto di undici capitoli tratterà l’ampio raggio che va dal Tondo Doni alla Cappella Paolina passando per il corpus principale dedicato agli studi sugli affreschi sistini. Successivamente seguiranno i volumi sui maestri antichi, Picasso e altri maestri moderni.

Cinque dei nove saggi del volume sulla scultura si concentrano sulle Pietà michelangiolesche – quella di San Pietro (1498-99), la Pietà fiorentina (1547-55), ora nel Museo dell’Opera del Duomo, e la Pietà Rondanini oggi al Castello sforzesco di Milano, iniziata nel 1552 alla quale Michelangelo lavorava – come noto – ancora poco prima della sua morte nel 1564 e infine la Madonna nella cappella dei Medici a Firenze (1521-1534).

Il lavoro di editing,  meticoloso e attento di Sheila Schwartz – in occasione anche del trasferimento al Getty Research Institute di Los Angeles delle carte dello studioso – ha consentito di creare una pubblicazione coesa ed omogenea che rappresentasse al meglio il pensiero di Steinberg destreggiandosi filologicamente tra le varie versioni delle numerose conferenze e articoli pubblicati, eliminando le ridondanze e lavorando nel massimo rispetto dell’autore, per il risultato finale reso con ammirevole acribia.

Nonostante Steinberg abbia insegnato lungamente storia dell’arte prima all’Hunter College di New York, e poi all’Università della Pennsylvania, a partire dalla metà degli anni ’70 del secolo scorso, per quasi due decenni, è sempre stato considerato un outsider tra gli storici dell’arte. Richard Neer apre la sua introduzione al volume citando Ernst H. Gombrich che in una celebre recensione sul New York Review of Books, nel 1977, aveva scritto a proposito dei suoi studi su Michelangelo: “E’ un modello pericoloso da seguire”, per la sua attitudine a privilegiare il piano visivo su quello letterario, allegorico e storico-documentario. La formazione di Steinberg – continua Neer – si era svolta più nei musei e nelle scuole d’arte che nelle biblioteche. Da qui l’idea di attribuire al discorso attorno alle immagini i famosi “other criteria” privilegiando la comparazione con altre immagini della tradizione iconografica – con una particolare attenzione alla storia dell’incisione di determinati soggetti – intessendola di argute riflessioni sui punti di vista dell’osservatore.

Steinberg era un attento iconologo e al contempo collezionista di stampe. Considerava però il metodo iconologico una delle chiavi tra le molte utilizzabili per la comprensione dei linguaggi visivi nella loro complessità. Gli altri includevano l’imprescindibile studio ravvicinato in prima persona dell’opera e l’esperienza di ricezione da parte dello spettatore.

Questa metodologia di ispirazione olistica lo portò ad avanzare una serie di opinioni audaci, anche non ortodosse su Michelangelo. Nella visione di Steinberg, la figura michelangiolesca nell’arte esisteva non solo come una delle più alte celebrazioni della complessa bellezza umana, della sua corporeità, ma anche il potente veicolo per la rappresentazione di emozioni in un racconto implicito che dava forma concreta e simbolica ad aspetti fondamentali della dottrina teologica cristiana. Come scrive in “Body and Symbol in the Medici Madonna“: “nelle mani di Michelangelo, l’anatomia diventa teologia”. E così Steinberg sostiene che, nella Pietà romana, il significato della giovinezza osservata e commentata della Vergine deve essere comparata alla virilità giovanile di Cristo per comprenderla come la Sposa di Cristo, un concetto teologico di lunga durata, ma mai prima così esplicitamente espresso nell’arte visiva. Oppure come si vede nella Pietà fiorentina l’artista aveva scientemente eliminato in un secondo tempo dal gruppo marmoreo la gamba sinistra di Cristo accavallata su quella di Maria perché, pur volendo esprimere un’idea simile, temeva che sarebbe stato letto come un simbolo esplicitamente carnale (come accade nel Bacio di Rodin posto a confronto) e non come matrimonio spirituale o ancora come le gambe incrociate di Maria nella Madonna Medici simboleggiano la sua eterna verginità. Riflessioni tanto innovative da leggere quanto stimolanti su cui meditare nuovamente per riconsiderare il ruolo del corpo nel linguaggio figurativo di Michelangelo che non vedeva separazione tra “forma, espressione e contenuto” e coinvolgeva l’anatomia umana nella sua totalità per dare articolata visualizzazione a complessi concetti teologici.

Uno dei saggi più sorprendenti e ironici del libro è appunto “The Florentine Pietà: The Missing Leg Twenty Years After”, edito su “The Art Bulletin”, nel 1989, in cui Steinberg argomenta e risponde nel dettaglio a due decenni di reazioni accademiche alla sua interpretazione da parte di celebri studiosi di Michelangelo come Sir John Pope-Hennessy, Frederick Hartt e Athena Tacha Spear. Uno dei denominatori comuni della polemica dei suoi detrattori era stato mettere sotto accusa la credibilità scientifica di Steinberg, che ravvisavano flagranti errori intenzionali e citazioni interpolate. Pope-Hennessy dedicò un’appendice alla terza edizione del suo famoso studio, Italian High Renaissance and Baroque Sculpture (1985), in cui alterò polemicamente il titolo originale del saggio di Steinberg da “Metafore dell’amore e della nascita nelle Pietà di Michelangelo” in “Metamorfosi dell’amore e della nascita nella Pietà di Michelangelo”.

Nel volume è incluso anche un saggio del 1996 pubblicato su ARTnews, in cui Steinberg respinse polemicamente l’attribuzione di quello che è ora noto come il giovane arciere, opera giovanile di Michelangelo. L’attribuzione era stata fatta nel 1995 da Kathleen Weil-Garris Brandt dopo aver esaminato una statua di marmo che aveva adornato a lungo l’atrio del consolato francese di New York senza attirare apparentemente alcuna attenzione.

Uno dei piaceri e interesse profondo che suscita questo libro è la priorità che si evince dall’atto di guardare. Steinberg era un implacabile scrutatore di opere d’arte, e nelle pagine del libro splendidamente illustrato ci sentiamo guidati dai suoi occhi che conducono alle sue proposte di comprensione del lavoro di Michelangelo.

Spesso le rivelazioni per il lettore sono notevoli, come nel caso della spiegazione dei modi in cui l’artista ha ottenuto che il marmoreo corpo di Cristo, uomo adulto, sia in grado di adattarsi al grembo della Vergine nella Pietà vaticana. Il percorso del ragionamento viene effettuato con un ricco corredo di immagini fotografiche scattate da inediti punti di vista.

È in questa metodologia ferrea del cambio di sguardo, sul filo di un ragionamento complesso, presentato in un linguaggio talvolta ricercato e molto personale, che risiede l’importanza del primo volume degli scritti di Steinberg che prelude all’intera serie che verrà. Steinberg pone al centro della scena l’atto di guardare senza pregiudizi dogmatici e ideologici, insistendo su di esso come strumento primario e indispensabile per comprendere le opere d’arte. Il clima intellettuale in cui ci immerge sostiene quanto la teoria della lettura-critica, e l’acuta polemica siano l’unica vera via per la saggia conoscenza, il ritorno dell’occhio e della mente intelligenti e acuti di Leo Steinberg sono oggi quanto mai necessari.


[1] Altri testi tradotti in italiano sono: Il finale di partita di Picasso, in E. Grazioli (a cura di), Pablo Picasso (Riga n. 12), Milano 1996, pp. 284-318; Las Meninas di Velázquez, in A. Nova (a cura di), Las Meninas. Velázquez, Foucault e l’enigma della rappresentazione, Il Saggiatore, Milano 1997, pp. 75-88; Altri Criteri, in G. Di Giacomo, C. Zambianchi, (a cura di), Alle origini dell’opera d’arte contemporanea, Laterza, Roma-Bari 2008, pp. 95-138.

[2] Leo Steinberg Now, a cura di G. Cassegrain, C. Cieri Via, J. Koering e S. Schwartz, Roma, Campisano Editore 2019; si veda anche D. Di Cola, Leo Steinberg e un libro inedito su Mantegna. Presenze e assenze del corpo di Cristo, in Spazi bianchi. Le espressioni letterarie, linguistiche e visive dell’assenza, a cura di A. Buoniconto, R. Cesaro, G. Salvati, Soveria Mannelli, Rubettino Editore, 2019, pp. 399-411, nonché sempre di D. Di Cola, Disegno e danza «guide migliori dell’erudizione». Esperienze e metafore del corpo nel pensiero di Leo Steinberg, in In corso d’opera. Ricerche dei dottorandi di storia dell’arte della Sapienza, (2), a cura di C. Di Bello, R. Gandolfi, M. Latella, Roma 2018, pp. 295-302.