La coscienza del paesaggio. Armando Dillon e la tutela in Liguria

di Raffaella Fontanarossa

Andrea Canziani, La coscienza del paesaggio. Armando Dillon e la tutela in Liguria, Mimesis, Milano, 2020, pp. 119, euro 10

C’era un paese in cui poco prima che Antonio Cederna intraprendesse le sue denunce delle distruzioni di quello che oggi chiamiamo patrimonio paesaggistico e che ben prima che organi istituzionali come la Commissione Franceschini o circoli, come Italia Nostra e successivamente il FAI, ne alimentassero il dibattito, aveva già i suoi padri nobili in materia di tutela.

In questo paese un prima e un dopo è naturalmente segnato da alcuni provvedimenti legislativi che nell’Italia postunitaria si assestano attorno ad alcune figure cruciali. Per restare al secolo scorso, a partire dal 1910, gli interventi di Giovanni Rosadi, Corrado Ricci, poi, negli anni Venti, di Benedetto Croce e, nel decennio successivo, tra gli altri, quelli di Achille Bertini Calossi e di Gustavo Giovannoni che confluiranno nella legge sulla protezione delle bellezze naturali, emanata come noto pochi mesi prima dell’attacco che condusse verso il secondo conflitto mondiale.

In questo paese, come in altri, l’entrata in guerra costrinse a catalizzare ogni energia per la messa in sicurezza del patrimonio culturale, ma l’immediato dopoguerra, l’Italia, forte dell’articolo 9 della Costituzione, è teatro di battaglie, fin qui per lo più poco note, perché nuovamente oscurate dalla ricca narrazione della stagione successiva, quella inaugurata da La speculazione edilizia di Italo Calvino nel 1957. Nello stesso anno esce anche la trascrizione del Viaggio in Italia in cui anche Guido Piovene si sofferma, fra l’altro, lungo le “due Ligurie”: il ponente, già allora simboleggiato dall’esasperazione del turismo sanremese, e il levante, dove alle Cinque Terre poche “case solitarie a metà pendio che non servono d’abitazione ma soltanto a pigiare l’uva” e da dove, soprattutto chi ha potuto, è andato via, in città, e in cerca di lavoro.

In quest’epoca in cui le Cinque Terre non erano ancora le Cinque Terre, si fanno avanti progetti di strade littoranee tra le fasce terrazzate sul mare, disegni di costruzioni edilizie in Comuni del tutto sprovvisti di piani regolatori o paesaggistici. Qui interviene, nel 1959, un decreto che, di fatto, costituisce il primo vincolo in questo pregevole quanto fragile territorio, al tempo stesso costiero e montano. È grazie a questo provvedimento se molti anni dopo (1997), Monterosso, Vernazza, Riomaggiore, Corniglia e Manarola (insieme a Portovenere e alle sue isolette) verranno inserite tra i Patrimoni dell’Umanità dall’UNESCO. Se le Cinque Terre potranno diventare le Cinque Terre. Nel paese liberato la necessità di adottare strumenti legislativi per la difesa delle bellezze naturali è, ancora prima che valorizzazione, coscienza civile.

La stessa che, sempre nella regione dove Calvino trascorse l’infanzia, alcuni provvedimenti dei primissimi anni Sessanta bloccano significativi tentativi di lottizzazione nelle zone di Arenzano e dell’isola di Bergeggi, mentre nella Riviera di Levante si pone freno anche alla “rapalizzazione”. Un vincolo del 1963 va a salvaguardare una zona verde, Vallegrande, nei pressi di Moneglia, tra Sestri Levante e le Cinque Terre, dove s’intendeva costruire nientemeno che una centrale nucleare!

L’artefice, il fautore delle relazioni e degli interventi che consentiranno di emanare questi pionieristici atti di tutela è un soprintendente, Armando Dillon. Uno dei padri nobili della salvaguardia appunto. A ricostruirne l’impegno, anche attraverso importanti affondi archivistici, confrontati agli scritti dello stesso Dillon e di molti altri intellettuali del tempo, da Giulio Carlo Argan a Adriano Olivetti, è Andrea Canziani nel volume La coscienza del paesaggio. Armando Dillon e la tutela in Liguria (Mimesis, Milano, 2020, pp. 119, euro 10). Canziani, architetto specializzato in restauro dei monumenti, membro di DOCOMOMO e soprattutto funzionario presso la stessa Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio della Liguria dove operò Dillon, ha tra l’altro ritrovato, pubblicandone nel libro alcuni estratti, un prezioso manoscritto. Si tratta di un Quaderno dei sopralluoghi in cui per due anni (1958-’60), il soprintendente Dillon annota ogni missione, documentandola con suoi schizzi e fotografie. Ogni pagina del quaderno è un cahier de doléances: delle distruzioni, degli scempi e delle nuove costruzioni a cui egli non sempre riesce a porre argine. “Come ha fatto il piano regolatore a prevedere delle costruzioni di questa metratura?”, appunta il funzionario a margine di un sopralluogo a Finale Ligure. In filigrana, pagina dopo pagina, il quaderno a righe di Dillon registra le conseguenze dello spopolamento delle campagne, l’aggressività delle strutture alberghiere, ma soprattutto la crescente piaga delle seconde case. La costruzione dell’Autostrada del Sole avviata, tra tunnel e viadotti, nel ’56 farà il resto. Varigotti, scriverà l’architetto in occasione di un convegno, “si è dilatata in una cornice di volgarità. Abbiamo conservato l’immagine di un quartiere di pescatori. Ma i pescatori, arricchiti, vendendo le loro case si sono costruiti palazzine brutte e moderne ai margini degli antichi borghi; […] la bellezza è unità, integrazione e non somma di interessi”.

In Liguria, il napoletano Arnando Dillon, classe 1906, collaboratore di Luigi Piccinato, era arrivato nel 1955 dalla Sicilia, dove aveva seguito le fasi della ricostruzione postbellica. A questa fase è fra l’altro dedicato un altro volume, Armando Dillon. La guerra e il “travaglio” della ricostruzione in Sicilia (1941-1955),di Maria Rosaria Vitale e Giuseppe Scaturro (LetteraVentidue, 2019). Dopo la laurea Dillon si era perfezionato a Roma, entrando in contatto con Giovannoni e iniziando poi la sua carriera nella pubblica amministrazione prima a Reggio Calabria poi nella città d’origine.

Nella piccola regione del Nord Dillon rimarrà fino al 1964, anno cruciale dell’avvio della citata commissione presieduta da Francesco Franceschini e della, non meno fondamentale, Carta di Venezia. Per le regioni a cui è accennato egli si muove dunque in un periodo particolarmente delicato per il paese. L’operato di Dillon anticipa, sul campo, giorno dopo giorno, tante delle problematiche ancor oggi di tragica attualità. Il libro di Andrea Canziani le documenta con grande limpidezza. Oltre a ricostruire l’impegno di Dillon per esercitare la tutela del territorio con ogni strumento fino ad allora a disposizione, inserendosi in un meritorio filone di studi di storia della nostra salvaguardia, Canziani ne contestualizza l’opera, attraverso un notevole lavoro comparativo, tra legislazione e pubblicistica, calandosi in un paese che stava per entrare, con tutto quello che, nel bene e, soprattutto, nel male – dall’espansione edilizia all’assalto al territorio ne conseguì, di lì a poco, negli anni del boom economico. Perché – sono parole di Dillon: “fino a quando non si sarà formata nel paese la coscienza che la bellezza, l’arte e la storia sono beni particolari come la libertà, la cultura e la religione: sono beni cioè necessari ed integranti della vita dell’individuo e della società. Sono beni che meno si sfruttano e più rendono. Ciascuno di noi ha la possibilità di goderne, di parteciparvi, ma solo in rapporto al proprio attivo contributo di comprensione e sensibilità”. Quando si dice parole attuali, anzi, sempre attuali, per questo paese.

Armando Dillon. La guerra e il “travaglio” della ricostruzione in Sicilia (1941-1955) di Maria Rosaria Vitale e Giuseppe Scaturro (LetteraVentidue, 2019).

https://www.letteraventidue.com/It/prodotto/355/armando-dillon

Andrea Canziani, La coscienza del paesaggio. Armando Dillon e la tutela in Liguria, Mimesis, Milano, 2020, pp. 119, euro 10

https://www.mimesisedizioni.it/libro/9788857569277

Andrea Canziani  Dottore di ricerca e Specialista in restauro dei monumenti è architetto del MIBACT presso la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio della Liguria; insegna Architectural Preservation presso il Politecnico di Milano; presiede il DOCOMOMO International Specialist Committee on Education+Theory ed è stato Segretario generale di DOCOMOMO Italia. È autore di numerosi saggi sui temi del patrimonio del XX secolo.

Ph.D in storia dell’arte presso l’Università di Ginevra, Raffaella Fontanarossa conduce studi negli ambiti della connoisseurship, della geografia artistica, della storia del collezionismo d’arte, della museologia e svolge attività didattica in diversi atenei. Tra i suoi ultimi libri La capostipite di sé. Una donna alla guida dei musei. Caterina Marcenaro a Genova 1948-’71 (Etgraphiae, Roma 2015) e Collezionisti e musei. Una storia culturale (Einaudi, Torino 2022). Cfr. inoltre https://independent.academia.edu/raffaellafontanarossa