Ebrei e cristiani nella Cappella Sistina

di Tommaso Casini

Giovanni Careri, Ebrei e cristiani nella Cappella Sistina, traduzione di Giuseppe Lucchesini, Macerata, Quodlibet, 2020

La Cappella Sistina è esempio di incessante capacità interpretativa per la complessità dei suoi significati: dai primi momenti  della sua storia fino ai dibattiti sul suo decennale restauro alla fine del ‘900. Oggetto più di contemplazione ammirata che di critiche e atti censori, che pure vi furono, e che alterarono l’aspetto e il significato del Giudizio. Per cinquecento anni il vasto programma di affreschi ha dato origine a una quantità di letteratura senza precedenti, tanto che le argomentazioni critiche e visive offrono ancora possibili novità. Il volume di Giovanni Careri, in edizione tradotta in italiano e aggiornata rispetto a quella uscita in Francia nel 2013, dal titolo Le torpeur des Ancéstres. Juif et chrétiens dans la chapelle Sixtine, suggerisce di cambiare prospettiva partendo da qualcosa di meno osservato dagli occhi dei visitatori, e tradizionalmente anche da quelli degli storici dell’arte. Il fulcro della nuova chiave interpretativa riconsidera le figure degli Antenati di Cristo, rappresentati da Michelangelo nelle lunette e negli archi della volta, da cui inizia una nuova e coerente interpretazione della cappella nel suo insieme. I re e i patriarchi della linea di Abramo e di Davide, da cui discesero rispettivamente Giuseppe e Gesù, svolgono un ruolo decisivo nella comprensione delle implicazioni ideologiche dell’opera comprendendo gli affreschi quattrocenteschi delle pareti laterali realizzati sotto la direzione del Perugino, quelli della volta e il Giudizio Universale. Un ciclo rivelatore delle eterogenee strategie visuali della narrazione della sto- ria della Chiesa, dalle sue origini alla sua fondazione istituzionale, alla conclusione e della sua missione, all’immanenza della fine dei tempi. Aspetti chiave densi di significati per l’interpretazione complessiva, ancorché impegnative per l’opera di montaggio e di smontaggio dei temi rappresentati e delle analisi delle loro relazioni concettuali che s’impongono continuamente allo spettatore. Tale lavorio si rende tuttavia necessario nell’intento di cogliere, da parte dell’autore, il significato del capolavoro michelangiolesco sia nell’ambito artistico sia nel contesto storico e religioso della sua epoca. Forte di un’ampia letteratura consolidata negli ultimi decenni Careri mette in luce le scottanti inquietudini ed esigenze di rinnovamento della cristianità di cui Michelangelo si fece interprete attuando un ambizioso progetto di riforma cristiana dell’arte, sul quale influì fortemente la teoria della somiglianza presente negli scritti di San Paolo, incentrata su un’antropologia dell’immagine cristologica, tesa a valorizzare la coscienza o la conoscenza di sé dell’individuo. La potente innovazione artistica di Michelangelo risultò così originata da una precisa concezione della storia umana e divina non conforme alla tradizione, recentemente indagata appunto anche dagli storici. Per svelare il significato dell’istante che precede la fine della storia dell’umanità è necessario attribuire agli Antenati del cristianesimo un ruolo ideologico fondamentale. I patriarchi ebrei con la loro presenza in posture di torpore, esemplificano l’inerzia spirituale nel riconoscere la natura messianica e incarnata di Cristo, rappresentano cioè, nella loro inerzia, la complessa dialettica di esclusione e inclusione, elemento basilare dell’identità cristiana e del disegno salvifico di Dio. Il volume si articola in tre densi capitoli arricchiti da 156 illustrazioni. Il primo è dedica- to al Giudizio Universale, esaminato nella sia nella sua dimensione storico-artistica sia nella sua forza di dirompente innovazione rispetto alla visione tradizionale, di Vasari e Gilio. Nel secondo, si ricostruisce l’operazione di montaggio storico nell’intero ciclo degli affreschi della Sistina, attraverso un confronto tra la storia degli ebrei e quella dei cristiani. Il terzo capitolo si incentra sugli Antenati di Cristo di cui si è detto, svolgendo l’analisi dal problema della genealogia degli ebrei come modello storico e antropologico, sino al fenomeno dell’antigiudaismo presente nella Roma di Giulio II e di Michelangelo – in una relazione che fu sempre travagliata e ambivalente. Ne emerge un quadro nuovo di analogia tra il cristiano negligente e l’ebreo spiritual- mente inerte con una riflessione acuta riguardo al così detto autoritratto di personificazione di Michelangelo come Antenato di Cristo, sintomo del suo difficile percorso religioso. Il volume ha il merito di offrire nuovi approcci teorici e storiografici che, se sono necessari per spiegare le caratteristiche del capolavoro di Michelangelo, ci permettono di ripensare anche ai metodi e le questioni di entrambi questi campi disciplinari. Lo si afferma molto esplicitamente, per quanto riguarda la storia dell’arte, nelle pagine che l’autore de- dica ai limiti e dell’iconologia, e alla necessità di ripensare il pensiero warburghiano della Pathosformel e soprattutto introducendo la pratica del «montaggio», o alla possibilità di ricostruire una sorta di archeologia della modernità pittorica dal «naturalismo domestico» del ciclo degli Antenati. Anche per quanto riguarda l’altro ambito disciplinare a cui il volume appartiene, quello della storia del cristianesimo in età moderna, è indubbia l’originalità e la forza dell’approccio di Giovanni Careri: la scelta di privilegiare la lettura basata sull’antropologia dell’immagine cristiana, invece di una ricerca di fonti di ispirazione testuale della Sistina, necessaria ma talvolta sterile, si rivela particolarmente fruttuosa. Il volume esplora con efficace coerenza il progetto artistico di Michelangelo, ma permette anche di riconoscere negli affreschi della Sistina un documento essenziale per lo studio della storia delle relazioni tra cristiane- simo ed ebraismo in epoca moderna e allo sviluppo di una riflessione sul rapporto tra storia dell’arte e antropologia religiosa, il cui carattere indispensabile è illustrato dall’interpreta- zione del capolavoro michelangiolesco. In conclusione al testo Careri propone di continuare la riflessione sulla figura del torpo- re nel secolo XX, secondo la prospettiva trans-storica di Walter Benjamin. A questo scopo viene proposto il confronto tra la posa degli Antenati e una foto di scena in Aspettando Godot, di Samuel Beckett, (2005) in cui gli attori sono seduti allo stesso modo, a ricordare l’attualità sempre rintracciabile dell’intuizione michelangiolesca riguardo all’immanenza del tempo.